Biden drops out. E ora?

Biden si ritira dalla corsa, resterà in carica fino a fine mandato, il 20 gennaio 2025. Finalmente diranno alcuni, sì va bene ma ora? Una decisione a 4 mesi scarsi dalle elezioni, in un momento delicato e di inerzia contraria e a un mese dalla Democratic National Convention, il Presidente Biden fa la scelta più saggia, sicuramente sofferta per lui ma, da alcuni giorni, inevitabile, anche se farlo così tardi in realtà evitabile lo era.
Ma quante possibilità hanno i democratici di tenere la Casa Bianca, in questo momento, col morale a terra, senza un leader e con una confusione totale?
In realtà più di quante si pensino. C’è da constatare il dato di fatto che ormai esiste una forte polarizzazione negli Stati Uniti, dovuta molto anche allo scontro tra Trump e Biden in questi anni, ancor più esacerbato in questi mesi; così come è polarizzato da decenni l’elettorato di entrambi i due grandi partiti nella maggior parte degli Stati Federati: è noto che difficilmente i democratici riescano a imporsi negli Stati del sud come il Texas (40 grandi elettori) e nelle zone rurali degli Stati centrali, così come per i repubblicani è quasi impossibile conquistare gli Stati del New England o della costa occidentale come New York (28 grandi elettori) o California (54 grandi elettori), motivo per cui le campagne dei candidati si concentrano nei battleground degli storici swing states del Mid West, in particolare gli Stati della cosiddetta Rust Belt (Michigan, Wisconsin, Ohio, Pennsylvania) che hanno indirizzato le recentissime tornate presidenziali.
In questi Stati Biden era sotto di pochissimi punti percentuali nei sondaggi e, sebbene Kamala Harris sia messa leggermente peggio del suo alleato, la situazione è ancora molto incerta e combattuta. Inoltre è rilevante sottolineare che dopo il famoso e disastroso dibattito di giugno sulla CNN tra Biden e Trump, nonostante il repubblicano avesse guadagnato qualche consenso, il distacco nei sondaggi tra i due è rimasto sostanzialmente invariato, sempre in virtù di questa forte polarizzazione quasi dilagante tra l’elettorato americano.
Innanzitutto si da la VP come favorita alla nomination in quando Biden ha subito dato il suo endorsement alla compagna di viaggio, ma non è assolutamente scontato che alla Convention di fine agosto sarà Harris la candidata per i democratici. Ciò che è certo è che i finanziatori della campagna Biden-Harris hanno ricominciato a rimpolparne le casse non appena il Presidente ha dato l’annuncio del ritiro dalla corsa, tornando a fare donazioni dopo averle interrotte per indurre Biden a recedere dal suo intento di proseguire la sua campagna. Una scelta non facile per lui, ma nelle ultime ore sono state molto influenti le pressioni dei leader del partito per convincerlo. Ed ora, in questo caos assurdo in cui è piombata la sinistra americana, la DNC (democratic national convention) potrebbe eleggere come candidato a presidente la prima donna afroamericana di un grande partito nella storia statunitense. O forse no. C’è anche una neanche tanto remota possibilità che il partito opti per una Open Convention. Per sparigliare le carte e riprendere in mano il bandolo della matassa, il Partito Democratico potrebbe indire una Convention di questo tipo, “sbloccando” la scelta dei delegati e dei super-delegati che avrebbero dovuto votare per Biden, vincitore delle primarie. Questa sarebbe tuttavia un’arma a doppio taglio perché porterebbe ad assistere a uno spettacolo non proprio edificante di personaggi politici ambiziosi che, sfruttando la situazione, renderebbero la Convention un mercato di compravendita di voti per accaparrarsi la nomination; d’altro canto l’incognita potrebbe però essere l’asso nella manica che farebbe emergere un candidato forte e inedito che possa battere Trump a novembre. Intanto tra gli esponenti di spicco del partito, alcuni stanno dando il loro appoggio a Kamala Harris mentre altri hanno elogiato Biden per la sua decisione ma senza dare l’endorsement alla Vicepresidente, altro segnale che, anche se non garantito, lo scenario dell’Open Convention è valutabile e plausibile.
L’ex Presidente Trump viene da una settimana di fuoco: ha rischiato di non essere più in vita, per poi diventare la superstar della Convention Repubblicana di Milwaukee. Senza dubbio nel rush finale, Trump batterà molto sul fallito attentato alla sua vita per far leva sulla sensibilità degli elettori, come è anche giusto che sia; mentre i democratici potrebbero insistere sul fatto che ora è l’avversario il candidato più anziano in corsa, anzi sarebbe il presidente più anziano di sempre in caso di (ri)elezione.
Se i democratici riusciranno o meno a rimontare lo svantaggio morale e “sondaggistico” lo sapremo dopo la Convention di Chicago quando conosceremo il ticket democratico per l’election day del 5 novembre. Ma in base agli argomenti in analisi la partita per la Casa Bianca è tutt’altro che decisa a favore del Tycoon, a patto che dall’altro fronte ne esca un rivale all’altezza. Stay tuned, who will be the next president of the United States?

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